Category: solforose

1° maggio 1947

 

 

 

 

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La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all’aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C’era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell’odore di polvere da sparo.
La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti.
Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia repubblicana.
 

 

La strage di Portella della Ginestra

 

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Apocalisse nucleare – 26 APRILE 1986

 

 

 

 

 

E poi qualcosa inatteso ti cambia. Niente si riconosce e tu sei dis-orientata. Potrei dirlo anche in un modo diverso — le priorità delle cose di sempre non si ritrovano più. Ma non si tratta soltanto di questo, la conseguenza più evidente.

Qualcosa è stato spostato alla radice, come un girare le spalle, un voltarsi dall’altra parte con il proprio sguardo e tutte le proprie forze.

 

 

 

 

 

 

CHERNOBYL – Video censurato

 

 

 

 

 

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P. P. Pasolini – inedito sulla resistenza

 

 

 

 

 

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Pier Paolo Pasolini

 

 

 

 

Qualcosa pare oggi, nella primavera del ’55, realmente finito: il dopoguerra. È finito non solo nel disordine e nella corruzione, ma anche nelle coscienze di viverci. Il senso di liberazione e di ripresa, dal ’45 agli anni immediatamente successivi, sembra ormai il dato di una psicologia lontana: e si ripresenta viziato, all’interno di ognuno di noi, dello stesso male che avrebbe portato il mondo esterno – la classe dirigente italiana, nella fattispecie – all’involuzione di oggi. Si sente il desiderio di dimenticarlo e superarlo, come un legame stantìo, impuro e un po’ ridicolo.

Esattamente il contrario avviene per gli anni della Resistenza: che si sono fissati in una luce che si fa sempre più limpida. Nessun desiderio di superarli – come per gli anni del dopoguerra: e nemmeno, certo, di ritornarci, se essi richiedono di contare come un’esperienza unica e altissima: sicuramente la più alta della nostra vita. Di farsi paradigma: cristallino nella necessità e nella violenza con cui le circostanze lo hanno determinato – che dimostri, come dato, determinato appunto dalle circostanze storiche e fuori dalla nostra coscienza logica e dai nostri programmi, una possibilità: la possibilità di un’intesa tra uomini della più diversa formazione e delle più diverse tendenze.

Allora, ciò che univa era la necessità del combattere – dell’agire -, oggi, che quel paradigma va sciolto nei suoi termini logici e riportato all’analisi, della necessità di capire. (Si badi che noi parliamo da intellettuali, non da politici: anche se la distinzione vale solo alla superficie). E la comprensione del mondo, l’atto del capire, può realizzarsi anche in una posizione che non sia resa estrema da una scelta: può realizzarsi anche in una posizione intermedia (ma non di terza forza o di aprioristica coalizione!), in cui chi vi si trova abbia una coscienza chiara (e soffra magari un dramma sincero) della propria impossibilità di scegliere: assumendo questa impossibilità a dato storico. E si badi che noi, di tendenza marxista, non usiamo in questo momento un linguaggio che sia marxisticamente eretico, non usciamo dall’impostazione classista del discorso.

Dei borghesi – come sono gli intellettuali invitati a questa testimonianza nel «Dibattito» – commetterebbero, ne siamo certi, un peccato di irrazionalità se, per salvarsi, si gettassero definitivamente in un’azione che, data la scelta compiuta, li giustificherebbe davanti a se stessi e li annullasse in una specie di anonimato e di conformismo. Meglio che di una conversione, si tratterebbe, in tal caso, di una inversione del proprio essere storico. Ed è per questo che non si dovrebbe tornare alla Resistenza nemmeno nel migliore degli atteggiamenti, per così dire, parriani: non sempre la purezza di un ideale e di una nostalgia garantiscono la sua necessità.

Viviamo in uno strano periodo, in cui l’urgenza dell’agire non esclude, anzi, richiede assolutamente l’urgenza del capire: mai un fare è stato in così immediata dipendenza da un conoscere. E se una conciliazione dei vari modi di conoscenza (o almeno dei due fondamentali) è possibile, questa, ripetiamo, non può essere che drammatica: religiosa, senza autolesionismi o irrazionalismi mistici.

Come allora a unirci erano le difficoltà e i pericoli esterni, oggi dovrebbero essere le difficoltà e i pericoli interni: se le istituzioni e gli ideali democratici non sono minacciati da una scatenata violenza di eserciti, ma da una scissione che disgregando la società in una pratica e ideologica lotta di classe, disgrega in realtà la vita stessa, nella pienezza che questa raggiunge attuandosi nei singoli individui. E l’equilibrio (quello, supremo, della Resistenza) non va certo raggiunto cancellando uno dei termini del dilemma: ma vivendo il dilemma nel modo più rischioso, intellettualmente e sentimentalmente.

Pier Paolo Pasolini, 1955
 

 

 

 

 

Resistenza e desistenza – Piero Calamandrei

 

 

 

…tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
Alfonso Gatto, 25 Aprile

 

 

 

 
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Piero Calamandrei

 

 

 

 

 

Il decennio della “desistenza”

Ma il governo della Resistenza fu abbattuto dopo pochi mesi, nel novembre del 1945, come tutti ricordiamo, da intrighi di vecchi politicanti. E cominciò allora quel decennio di progressivo e corrosivo discredito dei valori della resistenza, il decennio della “desistenza”, che cominciò con la la beffa della epurazione e con le famigerate applicazioni dell’amnistia in materia di sevizie non mai abbastanza efferate, e che poi, proclamata malgrado tutto la Repubblica e votata la Costituzione, è diventato, in questi ultimi anni, con progressivo slittamento, disfattismo costituzionale, disprezzo di tutto quello che di nuovo e di innovatore aveva la nostra Costituzione, irrisione quotidiana di tutti i diritti fondamentali, dalla libertà di religione al diritto al lavoro, che la Costituzione aveva voluto garantire ai cittadini della nuova Italia democratica. La Resistenza, rinnegata prima nei suoi valori morali e politici, fu rinnegata poi nei suoi valori giuridici, consacrati nella Costituzione. […]

Il dramma della Resistenza e del nostro Paese è stato questo : che la Resistenza, dopo aver trionfato in guerra, come epopea partigiana, è stata soffocata bandita dalle vecchie forze conservatrici appena essa si è affacciata alla vita politica del tempo di pace, ov’essa era chiamata a dar vita a un nuova classe politica che riempisse il vuoto lasciato dalla catastrofe.

I morti della Resistenza vollero essere, credettero di essere, le avanguardie di una nuova classe dirigente, pulita e onesta, fatta di popolo, destinata a prendere il posto di tutti i profittatori e di tutti i corruttori. Quei morti furono la testimonianza e la promessa di un autogoverno popolare in formazione : ma finita la guerra, i vecchi vivi risalirono sulle poltrone e la voce dei giovani fu ricoperta da quelle vecchie querele.

 

Piero Calamandrei Passato e avvenire della resistenza, estratto da Resistenza e guerra. 
 

 

 

 

 

Arborescenti mazzi d’occhi fioriti – ARTAUD

 

 

 

 

( extrait )

Allons, je serai compris dans dix ans par les gens qui feront aujourd’hui ce que vous faites. Alors on connaîtra mes geysers, on verra mes glaces, on aura appris à dénaturer mes poisons, on décèlera mes jeux d’âmes.


Alors tous mes cheveux seront coulés dans la chaux, toutes mes veines mentales, alors on percevra mon bestiaire, et ma mystique sera devenue un chapeau. Alors on verra fumer les jointures des pierres, et d’arborescents bouquets d’yeux mentaux se cristalliseront en glossaires, alors on vera choir des aérolithes de pierre, alors on verra des cordes, alors on comprendra la géométrie sans espaces, et on apprendra ce que c’est que la configuration de l’esprit, et on comprendra comment j’ai perdu l’esprit.


Alors on comprendra pourquoi mon esprit n’est pas là, alors on verra toutes les langues tarir, tous les esprits se dessécher, toutes les langues se racornir, les figures humaines s’aplatiront, se dégonfleront, comme aspirées par des ventouses desséchantes, et cette lubrifiante membrane continuera à flotter dans l’air, cette membrane à deux épaisseurs, à multiples degrés, à un infini de lézardes, cette mélancolique et vitreuse membrane, mais si sensible, si pertinente elle aussi, si capable de se multiplier, de se dédoubler, de se
retourner avec son miroitement de lézardes, de sens, de stupéfiants, d’irrigations pénétrantes et vireuses, 

alors tout ceci sera trouvé bien,
et je n’aurai plus besoin de parler.

 

Antonin Artaud, Le Pèse-Nerfs

 

 

 

 

 

 

” Perché siamo tutti in pericolo ” — Pier Paolo Pasolini

 

 

 

 

«Ecco il seme, il senso di tutto – ha detto – Tu non sai neanche chi adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi : “Perché siamo tutti in pericolo” » P.P.P.

 

 

 

 

 

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« Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre, fra le quattro e le sei del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare che il titolo dell’incontro è suo, non mio.  Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in passato ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista. Ci ha pensato un po’, ha detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento di fondo  che appare continuamente nelle risposte che seguono . . . »

 

Furio Colombo, L’ultima intervista di Pasolini
Roma 2005. Avagliano Editore

 

 

 

 

 

Estratti « a minutissime dosi » dell’intervista

 

 

#1 [ Il rifiuto essenziale ]

F.C.
Io dirò « la situazione », e tu sai che intendo parlare della scena contro cui, in generale, ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La « situazione » con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire : tuo è il merito e tuo è il talento. Ma gli strumenti ? Gli strumenti sono della « situazione ». Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu ? Tu non resteresti solo e senza mezzi ? Intendo mezzi espressivi, intendo…

P.P.P.
Sì, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a smuovere la coscienza di un Paese ( e tu sai che non sempre sono d’accordo con loro… ). In grande l’esempio ce lo dà la storia.
Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, « assurdo » non di buon senso.

 

 

#2 [ Descrizione della situazione ]

P.P.P.
Allora i discorsi sono tre. Qual’è, come tu dici, « la situazione », e perché si dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.

F.C.
Ecco, descrivi allora « la situazione ».

P.P.P.
Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual’è la tragedia ? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo : ma strano, ma questi due treni non passano di lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo ? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto.
Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità.

 

 

#3 [ Difficoltà della scelta ]

P.P.P.
Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua vita interiore ( dove la rivoluzione sempre comincia ).
Ma adesso no. Uno ti viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e “collabora” ( mettiamo alla televisione ) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro – o gli altri, i gruppi – ti vengono incontro o addosso – con i loro ricatti ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma cosa li separa dal ” potere ” ?

 

 

 

. . . continua . . .

 

 

 

 

 

 

Una scelta estetica

 

 

 

Una scelta estetica : ciò che si include e ciò che si esclude nella propria rappresentazione. Una scelta determinata dalle persone e dai contesti ai quali si rivolge – si dedica, si destina – la nostra rappresentazione.


“Una scelta estetica è sempre una scelta sociale [ . . . ] Ciò non significa affatto che la scelta estetica sia impura o interessata. Anche le scelte dei santi sono sociali.”
Pier Paolo Pasolini

E se invece tutto questo non ci fosse più, se non ci fossero fra di noi quelle distinzioni sociali che ci costringono a scegliere ? Se niente di tutto questo esistesse ancora e noi ci trovassimo disseminati per ogni dove, a caso nel buio della rete elettronica, tutti così perfettamente accomunati dalla stessa mancanza di realtà ? Avrebbe – ha – ancora senso qualcosa da rappresentare ? E se non è questo, che cos’altro è diventata la spinta della rappresentazione nelle nostre necessità espressive ?

Se la cultura dava realtà divaricando lo spazio sociale di ciò che era consentito – lo spazio espressivo che la società concede … dove stanno oggi le celate membrature di questo nostro corpo sociale globale ?

 

 

 

 

 

 

Discrìmine

 

 

 

Un momento critico, forse una situazione di pericolo, in questa dimensione di visibilità astratta e statistica — virtuale.

 

 

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Dopo l’intensa rilettura di
Tetis e Abiura dalla “Trilogia della vita”, di Pier Paolo Pasolini
Ogni uomo è tutti gli uomini Edizioni. Bologna, 2015