Archives for: ottobre 2016

” Ton rire ” – testo di Hervé Chesnais

 

 

 

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Tu fus une petite fille sage, sérieuse, grave, on ne savait pas pourquoi, quel poids suscitait ta réserve, on sait désormais. Je riais plus que toi, je parlais plus que toi, tu as parlé tard, pour parler tu t’en remettais à moi, le bavard, l’énervant, mais je ne t’énervais pas. J’aimais ton rire, l’entendre fêler ton quant à soi, mais toujours dans ton rire un je ne sais quoi de retenu, un rire raisonnable, qu’on rapprochait à tort des sourires rares de l’aieule: la mère du père, parangon de vertu janséniste, était chiche en joie, pas toi. J’ai toujours su te faire rire, je peux me vanter de ça, jusqu’au bout t’avoir fait rire, cette légèreté-là, ce que je pouvais donner que tu n’avais pas, quitte à chanter du Céline Dion, chanter “Parler à mon père”, quelle ironie pour nous cette chanson, danser tous contre toute raison, toi, Philippe, les enfants, rire en dansant, vivre encore.

 

Hervé Chesnais – le ravaudeur

 

 

Fosti una ragazzina saggia, seria, grave, non si capiva perché, quale peso ti provocava tanta riservatezza. Adesso sappiamo.

Io ridevo più di te, parlavo più di te, tu hai incominciato a parlare tardi, per parlare ti affidavi a me che ero il chiacchierone, lo snervante, ma non ero così per te.

Amavo il tuo riso, sentire il tuo riserbo incrinarsi, ma di un riso sempre con un non so che di trattenuto, un riso ragionevole, che a torto si voleva far somigliare ai rari sorrisi della nonna : la madre di papà, modello di virtù giansenista, lei sì era avara di gioia, tu no.

Ho sempre saputo farti ridere, posso vantarmene, fino alla fine ti ho fatta ridere, la leggerezza che non avevi era quello che io potevo darti, mi lasci cantare di Céline Dion “ Parler à mon père “, quale ironia per noi questa canzone, tutti a danzare contro ogni ragione, tu, Philippe, i bambini, ridere danzando, vivere ancora.

traduzione dal francese di rosaturca

 

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Autunno — di Marco Mazzanti

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Viene l’autunno
con le sue grevi piogge
piene si fan le rive
e le profonde rogge
ora s’allevian dell’assolata arsura
i campi, stinge e rosseggia la natura
caduche foglie s’inventan capriole
lasciando il ramo che più non le vuole
entro i cortili, ai bordi della strada
posan frammiste all’erba ognor più rada
fugge la vita, a poco ormai s’afferra
prepara il suo ritorno nella terra.
E dove anch’io potrei trovare adesso
un quieto riposare
se non entro me stesso ?

Testo originale di Marco Mazzanti

 

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Non si rientra veramente in città fino a quando non si ritorna nei mercati contadini che si fanno in giornate diverse in vari luoghi dello spazio urbano. E’ qui che si riflettono le valli, la collina, i coltivi e i boschi.

E’ quando torno nei mercati che so dove sono io ; ed è qui — per radicamento, che frutti della terra sono ancora gli uomini e le donne, i gesti, gli sguardi, le parlate della lingua. E’ qui che si dà il gusto e il senso fisico del tempo che ci muta con i sapori e i colori nel mutare delle stagioni.

Sabato mattina al cortile del cinema Lumière, il mio ritorno dopo il lungo vai e vieni delle ferie estive. Marco che vende le sue mele e il pane che fa Renza sua moglie mi accoglie come se fossi uscita dal libro di favole…….
Prima di andare via mi offre la sua poesia.

rosaturca

 

 

 

 

 

 

Si chiude

 

 

 

 

 

L’oscura nuda verità impressa nella carne, quella di queste membra prese come sostanza e significato del suo dire, l’oscura metamorfosi che ha fatto corpo nel mio fisico mortale . . .

Quante volte ho domandato – inutilmente – di capire perché tutta la vita in questa dura chiusura ; dai limi più lungamente esiliati della mia coscienza. Poi, diventa limpida visione qui — non si cammina, più.

China sul declinare del mio passo, al suo fianco distesa, alla terra, offerta all’ascolto. Piano come impercettibile battito d’ali di farfalla in volo nei sogni, queste membra ed io, intrecciamo una voce di muscoli e nervi e tenerezza e aliti di fiato. E intanto fuori cadeva la sera.

Infine. Siamo uscite sorprese nelle piogge della sera, sulla pietra umida nel buio abbiamo posato la fatica e il sollievo per lo sforzo. Abbiamo guardato, e abbiamo visto insieme tutta la bellezza del creato.

 

 

 

 

 

In una nuova verità

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Nei giorni appena trascorsi pensavo di essere all’opera nel rimontare qualcosa come uno shock, uno spavento grave, comunque uno stato di alienazione dalla mia vocazione naturale.

Ignoro da dove affiorasse tanto smarrimento ; non so se posso additare la vite bianca che radica fra i ruderi e nell’ombra delle siepi e dei boschi, non so se posso additare lei come responsabile. All’apparenza niente di tangibile, nulla è accaduto, dichiarato ; soltanto l’impossibilità di muovermi, anche solo di reggermi in piedi, ma pure di stendermi, di riposare. Quello che si dice ” uno stato di prostrazione “. Oggi pare svanito. Ma non vuol dire che svanito sia il dolore.

Oggi m’innesto in queste membra con una nuova verità ; come se la misteriosa e necessaria metamorfosi abbia fatto corpo alla sua sostanza.