Archives for: aprile 2016

Apocalisse nucleare – 26 APRILE 1986

 

 

 

 

 

E poi qualcosa inatteso ti cambia. Niente si riconosce e tu sei dis-orientata. Potrei dirlo anche in un modo diverso — le priorità delle cose di sempre non si ritrovano più. Ma non si tratta soltanto di questo, la conseguenza più evidente.

Qualcosa è stato spostato alla radice, come un girare le spalle, un voltarsi dall’altra parte con il proprio sguardo e tutte le proprie forze.

 

 

 

 

 

 

CHERNOBYL – Video censurato

 

 

 

 

 

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Prima di Fukushima, nel 1999… CLICCARE QUI PER L’ARTICOLO

 

 

 

 

 

 

P. P. Pasolini – inedito sulla resistenza

 

 

 

 

 

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Pier Paolo Pasolini

 

 

 

 

Qualcosa pare oggi, nella primavera del ’55, realmente finito: il dopoguerra. È finito non solo nel disordine e nella corruzione, ma anche nelle coscienze di viverci. Il senso di liberazione e di ripresa, dal ’45 agli anni immediatamente successivi, sembra ormai il dato di una psicologia lontana: e si ripresenta viziato, all’interno di ognuno di noi, dello stesso male che avrebbe portato il mondo esterno – la classe dirigente italiana, nella fattispecie – all’involuzione di oggi. Si sente il desiderio di dimenticarlo e superarlo, come un legame stantìo, impuro e un po’ ridicolo.

Esattamente il contrario avviene per gli anni della Resistenza: che si sono fissati in una luce che si fa sempre più limpida. Nessun desiderio di superarli – come per gli anni del dopoguerra: e nemmeno, certo, di ritornarci, se essi richiedono di contare come un’esperienza unica e altissima: sicuramente la più alta della nostra vita. Di farsi paradigma: cristallino nella necessità e nella violenza con cui le circostanze lo hanno determinato – che dimostri, come dato, determinato appunto dalle circostanze storiche e fuori dalla nostra coscienza logica e dai nostri programmi, una possibilità: la possibilità di un’intesa tra uomini della più diversa formazione e delle più diverse tendenze.

Allora, ciò che univa era la necessità del combattere – dell’agire -, oggi, che quel paradigma va sciolto nei suoi termini logici e riportato all’analisi, della necessità di capire. (Si badi che noi parliamo da intellettuali, non da politici: anche se la distinzione vale solo alla superficie). E la comprensione del mondo, l’atto del capire, può realizzarsi anche in una posizione che non sia resa estrema da una scelta: può realizzarsi anche in una posizione intermedia (ma non di terza forza o di aprioristica coalizione!), in cui chi vi si trova abbia una coscienza chiara (e soffra magari un dramma sincero) della propria impossibilità di scegliere: assumendo questa impossibilità a dato storico. E si badi che noi, di tendenza marxista, non usiamo in questo momento un linguaggio che sia marxisticamente eretico, non usciamo dall’impostazione classista del discorso.

Dei borghesi – come sono gli intellettuali invitati a questa testimonianza nel «Dibattito» – commetterebbero, ne siamo certi, un peccato di irrazionalità se, per salvarsi, si gettassero definitivamente in un’azione che, data la scelta compiuta, li giustificherebbe davanti a se stessi e li annullasse in una specie di anonimato e di conformismo. Meglio che di una conversione, si tratterebbe, in tal caso, di una inversione del proprio essere storico. Ed è per questo che non si dovrebbe tornare alla Resistenza nemmeno nel migliore degli atteggiamenti, per così dire, parriani: non sempre la purezza di un ideale e di una nostalgia garantiscono la sua necessità.

Viviamo in uno strano periodo, in cui l’urgenza dell’agire non esclude, anzi, richiede assolutamente l’urgenza del capire: mai un fare è stato in così immediata dipendenza da un conoscere. E se una conciliazione dei vari modi di conoscenza (o almeno dei due fondamentali) è possibile, questa, ripetiamo, non può essere che drammatica: religiosa, senza autolesionismi o irrazionalismi mistici.

Come allora a unirci erano le difficoltà e i pericoli esterni, oggi dovrebbero essere le difficoltà e i pericoli interni: se le istituzioni e gli ideali democratici non sono minacciati da una scatenata violenza di eserciti, ma da una scissione che disgregando la società in una pratica e ideologica lotta di classe, disgrega in realtà la vita stessa, nella pienezza che questa raggiunge attuandosi nei singoli individui. E l’equilibrio (quello, supremo, della Resistenza) non va certo raggiunto cancellando uno dei termini del dilemma: ma vivendo il dilemma nel modo più rischioso, intellettualmente e sentimentalmente.

Pier Paolo Pasolini, 1955
 

 

 

 

 

Resistenza e desistenza – Piero Calamandrei

 

 

 

…tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
Alfonso Gatto, 25 Aprile

 

 

 

 
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Piero Calamandrei

 

 

 

 

 

Il decennio della “desistenza”

Ma il governo della Resistenza fu abbattuto dopo pochi mesi, nel novembre del 1945, come tutti ricordiamo, da intrighi di vecchi politicanti. E cominciò allora quel decennio di progressivo e corrosivo discredito dei valori della resistenza, il decennio della “desistenza”, che cominciò con la la beffa della epurazione e con le famigerate applicazioni dell’amnistia in materia di sevizie non mai abbastanza efferate, e che poi, proclamata malgrado tutto la Repubblica e votata la Costituzione, è diventato, in questi ultimi anni, con progressivo slittamento, disfattismo costituzionale, disprezzo di tutto quello che di nuovo e di innovatore aveva la nostra Costituzione, irrisione quotidiana di tutti i diritti fondamentali, dalla libertà di religione al diritto al lavoro, che la Costituzione aveva voluto garantire ai cittadini della nuova Italia democratica. La Resistenza, rinnegata prima nei suoi valori morali e politici, fu rinnegata poi nei suoi valori giuridici, consacrati nella Costituzione. […]

Il dramma della Resistenza e del nostro Paese è stato questo : che la Resistenza, dopo aver trionfato in guerra, come epopea partigiana, è stata soffocata bandita dalle vecchie forze conservatrici appena essa si è affacciata alla vita politica del tempo di pace, ov’essa era chiamata a dar vita a un nuova classe politica che riempisse il vuoto lasciato dalla catastrofe.

I morti della Resistenza vollero essere, credettero di essere, le avanguardie di una nuova classe dirigente, pulita e onesta, fatta di popolo, destinata a prendere il posto di tutti i profittatori e di tutti i corruttori. Quei morti furono la testimonianza e la promessa di un autogoverno popolare in formazione : ma finita la guerra, i vecchi vivi risalirono sulle poltrone e la voce dei giovani fu ricoperta da quelle vecchie querele.

 

Piero Calamandrei Passato e avvenire della resistenza, estratto da Resistenza e guerra. 
 

 

 

 

 

I giorni di pioggia

( cliccare sulle immagini per ingrandire )

 

 

. . .  e il tessuto sonoro degli uccelli
nei vespri a primavera.

bologna. 8 aprile 2016

 

 

 

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