Archives for: ottobre 2020

Il sogno di una vita

 

 

 

 

 

Lavorare la materia dei giorni, nient’altro che questo, lavorare anche di notte se richiama, tradurre senza sosta nell’inerzia della carne il sogno di una vita.

 

 

 

 

 

 

 

Un autunno di marina

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Si addentra il tempo nel cuore della notte, la luna ha attraversato il cielo sul cortile, ho spento la mia lampada ho aperto la finestra, l’aria pungente porta segreta una vena di dolcezza, porta la notte d’autunno di marina, quel lume più algido nel limpido blu.

 

 

 

 

 

 

 

Primo giorno di nebbia

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Passata mezzanotte del giorno di ieri, la pace alla nostra tavola, qualcosa come una perfezione celeste in terra — una beatitudine ? Mi sento giusta, più giusta oggi con i miei passi indietro, più giusta di prima, di quando reagendo alla provocazione di resa del mio risentimento ho forzato in avanti i miei passi, un po’ di più oggi in direzione di un giusto discernimento, forse per questo più cedevole a un mite divenire. Lo smisurato abbandono al riposo serale mi fa a quest’ora priva di sforzo quasi del tutto.

 

La nebbia del mattino presto sulla via, soltanto con qualche ora di sonno sulle mie gambe incerte e liete di quel piccolo miracolo mattutino, la nebbia che si scioglie dalle ciglia e ogni passo si spinge sopra un velo di seta, dopo l’Eucaristia sotto le ali della cripta, l’Ufficio delle Ore mi sussurrava così :

 

Baruc
Impara dov’è la prudenza, dov’è la forza, dov’è l’intelligenza, per comprendere anche dov’è longevità e vita, dov’è la luce degli occhi, e la pace.

e ancora :

San Pietro Crisòlogo
. . . portiamola tutta l’immagine del nostro Autore, portiamola con totale somiglianza, non nella maestà che a lui solo compete, ma in quella innocenza, semplicità, mitezza, pazienza, umiltà, misericordia, pace, con cui si è degnato di diventare come noi ed essere a noi simile.

 

Ed io mi sono sentita a casa, innestata a vivo fra la carne e un alito che faceva il mio giorno nuovo e diverso, insieme a Shangra sulle sue 8 – 10 ore di camminata al giorno nella zona del centro, con la mia vicina in cerca di vasetti di vetro per la sua marmellata di mele cotogne, con i nipotini al telefono appena svegli, e poi la mia mamma con l’orecchio sempre incollato alla tv, con la commessa del negozio francese che oggi sono 7 anni che lavora là – un cappotto di buon taglio in lana e cachemire – e poi la spesa per far da mangiare, poca e scelta.

 

 

 

 

 

 

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[ quanto lontana oggi a ripensarci quella straniante desolazione del giorno prima, desolata dalla stanchezza di portare questo peso sempre più greve nelle mie membra, e poi anche qualcosa di più, qualcos’altro di me stessa attinto finalmente e poi lunga e penosa questa risalita, l’Eucaristia della sera aveva fatto affiorare ancora una volta lacrime di commozione sotto gli occhi chiusi, insieme a G. siamo in pieno processo di conversione, e pure il gusto per il cibo sta cambiando, ritrovavo una dolcezza insperata soltanto tardi nel cuore della notte ritornando sulla Parola della sera – tempo proprio per la chiesa bolognese – leggo parole come balsami, come perle, per tutto il mio essere riecheggia a intermittenza di vertigine il Mistero, e tuttavia ho ancora sempre bisogno d’incanto per poter vivere la mia vita, per poter essere io. ]

 

 

 

 

 

 

 

La parola della sera

 

 

 

 

 

Quello che prima mi addolorava forgiandomi a fuoco nella prova, stasera mi annoia . . .

Il merlo della sera al mio passaggio fra la pietra e il cipresso gettava nell’aria l’urgenza del suo verso.

Lc 12,49-53
tatto di fuoco impresso sopra un cuore molle di cera, prosegue la preghiera come ben radicata erba di prato alla sua zolla, inspiegabile una vena di commozione e un rapimento costante, delicato.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il mio bene

 

 

 

 

 

Quella parte di bene che mi si affida — alla quale io sono affidata ? eccolo farsi avanti con la sua stessa voce, mi viene incontro sotto questi occhi chiusi ed io lo ascolto, vedendolo, comprendo.

Ecco la risonanza, la plasticità del mio spazio interiore senza fine mutarsi come una membrana in cui le voci del senso prendono dimora, per un poco, perché sono fatte non per restare, ma per divenire. . .perché io stessa possa divenire da questo stato di materialità verso il cielo.

 

 

 

 

 

 

 

Alla fine del giorno

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20 ott.

Lc 12,35-38
Beatitudine come un esperire di cose del cielo nel solco del vivere quotidiano terrestre, le sue parole lo dicevano in un modo diverso, ma dopo due notti cerco di ricordarmene e di rifare con le mie parole il senso che aleggiava nelle sue, beatitudine di attendere solerti all’affidamento che abbiamo ricevuto, alla cura e alla custodia della vita in dono, la beatitudine mi visita, mi raggiunge nell’attesa del mio vivere, certo, ma non nell’attesa e basta, nell’attesa orante e dislocata dentro e fuori di me, nella solitudine e nella condivisione, ma sempre in relazione di preghiera.

Ef 2,12-22
E poi quel Cristo senza il quale eravamo senza speranza, lontani e separati tutti, attraverso il sacrificio della sua carne siamo ora innestati tutti in un’unica carne, e questa carne nello spirito di Dio.

Nella stiva dei morti con i vivi, momenti d’inattesa sospensione e poi
la voce ha cominciato a fare frutto di parole nella bocca.

 

 

21 ott.

Lc 12,39-48
Domanda della sera — quale parte di bene a me, proprio a me è stata affidata perché ne abbia cura ? Chiudo gli occhi sull’angoscia che mi dà questa domanda a bruciapelo, io che non riesco ad avere cura nemmeno di me stessa, posso soltanto pregare che un passo e un gesto dopo l’altro possa scegliere di rispondere soltanto a ciò che è bene, perché tutto mi è stato dato e perciò tutto mi verrà chiesto indietro.

Gli occhi ritagliano un’attesa dicente già.

 

 

 

 

 

 

 

« Mandi, frut »

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Di tutte le pagine che leggo nella notte, mai avrei immaginato che queste righe che dicono di una madre mi obbligassero a fermarmi, ad abbandonare il libro aperto sul tavolo, ad allontanarmi con gli occhi chiusi a contemplare nel buio quel silenzio del cuore.

 

 

 

Mia madre, sempre così silenziosa ; capace di nascondere inaudite sofferenze dietro un volto composto e naturale. Pensate solo a una madre di nove figli che non sa mai se e come riuscirà a sfamare di giorno in giorno tutte quelle bocche ; e come vestirli ; e come riscaldarli nei gelidi inverni del nostro freddissimo Friuli. E tuttavia, mai che abbia sentito un lamento, anche se l’ho vista tante volte piangere segretamente. Eppure era così dignitosa.

E poi sempre con quell’idea di essere noi i più poveri del paese ; e per questo, perché eravamo così poveri, non voleva neppure che io mi facessi frate e tanto meno sacerdote :

«Perché sono cose troppo grandi per noi».

E ha avuto sempre paura per le mie scelte fino in punto di morte.

«Figlio, ricordati che noi siamo poveri, e non possiamo offendere la gente»

Questa era mia madre. Ogni volta che la vedevo era uno strazio. E naturalmente, con l’arrivo delle nuore e dei nipoti ( i fratelli erano sempre lontani ), le cose erano peggiorate. Inoltre, il primo di tutti noi, il maggiore, fin dal 1923 non scriveva più a casa, e nessuno sapeva niente di lui, se era vivo, se era morto ; nulla fino a quando lei è vissuta ; nulla fin quando io, dopo la sua morte, sono riuscito a scoprire dove stava ; e solo allora siamo venuti a sapere che non scriveva perché aveva soltanto disgrazie da comunicare ; aveva infatti avuto anche lui otto figli e gli erano morti tutti, l’ultimo a 18 anni sotto i bombardamenti sulla linea Maginot. E mia madre che sentiva tutto questo, di disgrazia in disgrazia, e taceva.

Sì, io ogni volta che partivo da casa le auguravo addirittura la buona morte, sempre : con la morte aveva tutto da guadagnare.

 

 

E lei
dalla piccola finestra
a salutarmi :

              « Mandi, frut »

mentre riprendo la strada. . .

 
David Maria Turoldo

 

 

 

 

 

 

Dal suono della sua voce

 

 

 

 

 

La prima volta in cui le diedi una breve raccolta dei miei ultimi versi, le dissi che si trattava di poesie semplici, che non portavano significati da interpretare, e nemmeno una particolare inclinazione alla musicalità della parola ; le dissi che erano il tentativo di cogliere soltanto l’attimo in cui qualcosa si rivela, è tutto. E mi sorpresi allora di quella mia franchezza, della facilità con la quale riuscivo a esprimere qualcosa che non sapevo, di cui mai prima d’ora mi ero accorta di sapere di me.

Rimasi colpita dal suo apprezzamento immediato e altrettanto franco, tutto veniva semplice, senza nessuno sforzo, nessuna complicazione. Da allora io sono diventata la poetessa ; da parte mia, so di esserle stata amica quando ancora non mi aveva rivolto la prima parola.

Tre giorni fa un altro gruppo di versi, stavolta ricopiati a mano che non c’era tempo di fare meglio di così, e comunque la mia grafia è abbastanza leggibile ; pur nella fioca luce del portico di sera lei leggeva, io ascoltavo la voce, che non era adesso la mia, la sua voce scorreva lungo i greti di poesia allo stesso passo della parola sulle mie labbra mentre si fa, e lo stupore sul suo volto alla fine di ogni lettura era senza parole pari al mio davanti a tutte quelle cose miracolosamente qui, di nuovo in mezzo a noi, portate dal suono della sua voce.

 

 

 

 

 

 

 

Senso di parole

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Le labbra sono lo strumento di produzione del poeta : egli lavora con la voce.
— a proposito di Osip Mandel’štam

 

 

Passata mezzanotte, come in un lungo viaggio in questa fine del giorno già addentro alla sua notte, viaggio di senso di parole, di voci delle cose mentre vengono alla luce nell’orecchio, di vena di scrittura che prende tutto il tempo per sé — sto ritornando a scrivere poesia, perciò alle notti sveglia e ai mattini rinchiusi e luminosi dentro, tagliata fuori dal resto del mondo, al lavoro prosaico di riportare la vita delle labbra sulla pagina, in quell’altra forma di vita che è il senso di parole, sforzo immane, assurdo battito del tempo e tuttavia più vero per me, e spingere e far passare nel ritmo di questo tempo pure tutta la vita materiale che mi avanza.

 

[ Mt 22, 15-21 ] Ricevere la Parola e non solo ascoltarla certo è possibile con un cuore aperto e con la grazia dello Spirito, ed io ricevo la Parola insieme al modo particolare di colui che me la porta, ed è parola incarnata ;
e a chi più è stato donato di più sarà richiesto,
il potere di cui disponiamo per realizzare in terra quello che sta nei cieli,
discernere fra tutte la priorità che è fondativa di quello che siamo noi,
non cedere alle scelte provocate da domande maliziose – che sempre dividendo ingannano, sempre mutilano la misura piena della verità delle cose,
amare sopra ogni cosa e ( aggiungo io ) non lasciare mai che alcuno vada perduto. . . …

 

 

 

 

 

 

 

Guai a noi !

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Lc 11, 42-46

L’ammonimento a portare il proprio cuore in tutte le cose e la piumata carezza della voce nell’ascolto della sera, certi ritorni la notte di melodie d’inni nell’orecchio, quanto lontani quei risvegli nel mattino con tutta la vita dentro ogni giorno tutta da riconsiderare, sbuccio il frutto dei peri di collina ed è curioso sentire sotto il coltello certe concrezioni invisibili e dissodare allora delle durezze la polpa, il sugo di pomodoro di tradizione salentina riscaldato dall’aroma dei chiodi di garofano e del curry più dolce, i ceci profumati in bocca di curcuma e di cumino verde dei prati, rari versi d’uccello da rimeditare svelti in poche righe e tante pagine da aggiornare sul commonplace.

 

 

 

 

 

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Ritorno a casa

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Alla vigilia della mia riconciliazione, ieri notte ho visto me come un cavallo da tiro che per tutta l’estate ha fatto la spola senza sosta – come una bestia da soma che trasporta una teoria immane di pesi da un luogo all’altro, svuotandone uno riempiendo l’altro, lungo lo stesso tragitto una volta dopo l’altra aver creato anche un ponte d’aria più fine, via via cedendo anche il dolore e il suo pianto, la solitudine, l’impazienza e la vana attesa. Ora sto per tornare di nuovo a casa.

Ricomincio a fare, a ri—sentire facendo, a gustare nuovamente dolcezza & pazienza, la quotidianità “ ha ripreso a girare “, ha ripreso a nutrire e a riscaldare, a smuovere tutte le cose lasciate incolte, e questa tenerezza per l’impegno profuso, per tutta la fragile fatica, la miracolosa fatica del giorno-per-giorno finalmente affrancata dalla malinconia della vecchia vita materiale.

 

 

 

 

 

 

 

Per una poetica

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E’ stato il primo giorno d’inverno, l’aria pungente improvvisa, la pioggia fredda & copiosa. Questa notte senza voce.

Mentre scrivo ho l’impressione straniante & familiare di trovarmi in una notte all’inizio dell’anno a venire —
significa che non è soltanto una convenzione il tempo che passa con le sue ricorrenze, proprio come la lingua delle stagioni che ci ostiniamo ancora a parlare, anche se ormai sono rotte le Ore, che è come dire che è questo soltanto il mondo che sappiamo nominare.

Forse, il senso ci precede e sopravanza il passo dei nostri giorni, e allora forse noi siamo sempre immersi nel senso ; il fatto mi consola.

 

 

 

 

 

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E’ un momento in cui mi sento salda in coscienza & sicura nella mia inclinazione poetica, è un momento di cui non saprei dire nulla, ma proprio nulla, un momento che non saprei descrivere, che sopraggiunge inatteso e diverso da altri che possono averlo preceduto e che gli possono assomigliare;
come se il tempo più recente della mia vita fosse stato a mia insaputa un tempo di supplica e di prova, di supplica insistita e di infaticabile prova, quasi una forgiatura in rarefazione d’aria.

[ Non riconoscermi intorno & non appartenere, avvertire sempre bruciante la mia mancanza, la differenza & la lontananza fino all’abbandono sono cose che si sono plasmate addosso ; dirmi poeta è accettare di scegliere la parola come passo e orizzonte, scrivere come seguire, senza sapere, seguire soltanto la verità.

Unico conforto è questa specie di Aperto che sempre mi soffia dentro, è con questa spinta di attrazione chiara & forte che mi confronto e che mi oriento, che da sempre mi regge e mi salva. ]

 

 

 

 

 

 

 

Senza perché

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Iniziativa di CEFA sulla piazza Maggiore di Bologna.
 

 

 

 

 

E trovare una piccola morte fra stomaco & cuore all’uscita accaldata dal sonno, la fibra reclama l’inerzia e levarmi è una spinta del tutto innaturale, quando si dice che lo spirito manca, se non venisse solerte in ascolto — anzi, è già qui ! come potremmo infilare di vita un giorno dopo l’altro. . .

E siamo a sabato, senza sapere perché.

 

 

 

 

 

 

 

A rima baciata

 

 

 

 

 

La parola nei Vespri stasera s’è fatta voce di tortora, sprofonda nella lode, dimentica di sé, nella spossatezza ritorno a casa sgravata, il passo sciolto negli inguini, porto le orbite immerse nell’aria come in un fascio di acque che arrivano fino alle tempie, sono in pace, e non è una sensazione esaltante, né di benessere, piuttosto mite, unita a rima baciata a un sentimento bruno di tutte le cose, umile forse.

 

 

 

 

 

 

 

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Bologna, per i Giardini Margherita e ritorno.

 

 

 

 

 

 

 

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Sulla piazza Giosuè Carducci

 

 

 

 

 

 

 

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Sulla piazza Giosuè Carducci

 

 

 

 

 

 

 

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Alle terrazze dello Chalet

 

 

 

 

 

 

 

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Dalle terrazze dello Chalet

 

 

 

 

 

 

 

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Dalle terrazze dello Chalet

 

 

 

 

 

 

 

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Per i Giardini

 

 

 

 

 

 

 

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Per i Giardini

 

 

 

 

 

 

 

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Per i Giardini

 

 

 

 

 

 

 

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Lungo via santo Stefano

 

 

 

 

 

 

Qualche cosa che passa

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Di notte dunque tu crei
di notte discendi dai cieli
— DMT

 

 

Nel buio della notte, nel cuore del silenzio, accade di vegliare qualche cosa che passa, che annebbia di sonno, che desta dal sonno, che tende queste fibre fino allo spasimo muto.

 

 

 

 

 

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Mancare :

l’azzurro teso nel cielo del mattino,

il respiro salmastro che corre nel vento,

 

 

sfibrare
le alte mura che recingono ogni passo, ogni gesto,
istante dopo istante per l’attesa di un guadagno d’impalpabile
etereo.

 

 

 

 

 

Una latente felicità

 

 

 

 

 

Non capisco questo sollievo misto a fatica da garottata, questi ossi schiodati che non si tengono più, primo levarmi nel mattino, la confusione sovrana mi tenta.

E’ complicato fermarsi ad ascoltare – abbandonare & abbandonarsi – mortificarsi è inevitabile, ieri notte ha soffiato più forte sulla polvere il vento dello spirito ed io ho compreso e ho visto, oggi primo giorno di ottobre, il tempo di una nuova iniziazione anche se ormai sono rotte le Ore, si dispone l’orecchio più addentro a ogni cosa che muta, anche se lo vedi soltanto dopo se qualcosa in parole è avvenuta, soltanto dopo aver giocato d’azzardo tutto il tempo che ti sei presa in prestito e non puoi più restituire.

Nell’aria un trabocco di spinta vitale, inspiegabile mentre tutto intorno sembra che muore, un lucore poroso dalla coltre nel cielo per tutto il giorno è disceso più intimo sulle cose del mondo, e un odore così nell’umido d’arie si esala fin dentro al mio respiro come una vena latente di felicità.

 

 

 

 


 

Giovanni Gabrieli, Sonata No.20 à 22