Una bella giornata in novembre

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20.XI
di notte.

Sono uscita di casa stamattina, sono uscita a incontrare il dolore degli altri, lo sforzo solitario di tutti gli altri che sono fuori dalla mia stanza, di certo anche loro hanno incontrato il mio dolore, che porto a testa alta con sorriso sincero, il mio dolore che non vedo, che non voglio vedere riflesso al mio passaggio nell’effetto-specchio che fanno le vetrine nelle giornate luminose come oggi, il mio sforzo mi basta sentirlo, e fronteggiarlo, a ogni passo.

 

A. mi raggiunge con il suo buongiorno affettuoso, io chiamo mia madre che passa tutto il tempo della telefonata a descrivermi in dettaglio le immagini televisive che la catturano già. Mi affretto a chiudere, non voglio perdermi le repentine esplosioni nell’aria di questi trilli minuti fra i rami al sole degli alberi oltre il muro di Santa Cristina, trilli minuti che sono prima del canto, schegge di gioia purissima lanciate nel cielo più prossimo, scricchiolii nella densità del tempo di una gratuità che si riversa su di noi, posso vedere gli uccelli involarsi qua e là, sono grandi meno di un pollice, sono sfumati di oro nel sole del mattino.

 

 

 

 

 

 

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Nei Giardini Margherita a ondate sui terrapieni delle aiuole le foglie ramate cadute dagli ippocastani e l’azzurro del giorno e una diffusa chiarità colata di luce umida e fredda.

 

 

 

 

 

 

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Svuotata, rallenta la città in questa bella giornata in novembre, faccio al contrario via Santo Stefano dai Giardini verso il centro, cammino e sciolgo così un levare di senso di vivere che D.M.T. nel suo « Il Vangelo secondo Giovanni » ha scandagliato in ogni parte di me (avevo cominciato a leggere l’opera dalla seconda parte e fino alla fine forse un paio di settimane fa, l’ho ripresa oggi dai primi due capitoli).

 

In libreria ho chiesto di consultare « Non siamo stati noi », ho ascoltato alla radio alcune puntate della lettura dell’opera, subito mi ha impressionata la ricostruzione puntuale di alcuni movimenti umani interiori indagati dal francescano Roberto Pasolini, che ricorre a una lettura biblica inusuale per me — forse un approccio antropologico? Comunque, migliore del solito patetico psicologismo rivisto e corretto. La suora si rifiuta di tenermi il libro da parte per una settimana.

 

 

 

 

 

 

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S. si ferma davanti a me per la seconda volta al quinto giro del suo percorso giornaliero, non mi riconosce mai appena mi vede, ma soltanto dopo qualche istante in cui ferma i suoi occhi nei miei, è l’ora di pranzo e mi offre da mangiare, forse un giorno gli regalo una mia poesia, che a parole non sono riuscita a spiegargli quello che faccio cos’è.

 

 

 

 

 

 

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